Questa settimana: superiamo l’invidia e ci tuffiamo nella sorellanza.
Ciao!
Oggi ci immergiamo in un’emozione di cui si parla pochissimo, ma che proviamo tutti: l’invidia.
Meschina, spaventosa, arcigna. L’invidia è la tipica emozione impersonificata dalle più antipatiche antagoniste femminili delle fiabe: dalle sorellastre di Cenerentola, alla matrigna di Biancaneve. E noi, con l’invidia e quel genere di personaggi lì, proprio non vogliamo averci nulla a che fare.
Stiamo parlando poi di uno dei sette peccati capitali! Abbiamo sdoganato la gola, l’accidia, persino la lussuria… Ma l’invidia? No, grazie!
Non credo infatti che alla domanda: “Come ti senti oggi?”, qualcuno abbia mai risposto: “Insomma, un po’ invidiosa!”
Ci concediamo di essere arrabbiati, nervosi, tristi, anche sulla soglia di un esaurimento nervoso, ma raramente osiamo ammettere l’invidia.
La temiamo e la nascondiamo dentro di noi, quasi fosse un reato, una colpa sporca. Invece no, l’invidia, come tutte le altre emozioni, è lecita. Anzi, ci può persino aiutare!
Personalmente, in passato, l’ho solo subita. E ricordo perfettamente di essere anche spaventata dall’idea di provocarla. Il mio sentire diceva di schivarla, finché potevo. Mi dicevo che mantenere un profilo basso, soprattutto negli ambienti lavorativi, mi avrebbe aiutata a non avvertire le invidie delle altre rivolte contro di me.
Poi, un bel giorno ho iniziato a non pensarci più, ho fatto un bel pacchetto di malevolenza e l’ho buttato via.
E, finalmente, è successo: l’ho provata io!
Ho scoperto l’invidia per la prima volta accompagnando Dora a scuola, vedendo tante mamme giovani che avevano avuto la possibilità di allargare la loro famiglia nei tempi giusti (come se esistessero veramente dei tempi giusti) e quanto lo desideravano (come se sapessi che quello era esattamente ciò che quelle donne avrebbero voluto, senza nemmeno chiederglielo).
Quel sentimento ha fatto smuovere un sacco di cose, mi ha concesso di conoscermi meglio, entrare in contatto con sentimenti spiacevoli come rabbia e tristezza, e poter trovare una strada che mi rendesse soddisfatta. La strada che rende soddisfatti non coincide per forza con il desiderio, perché le declinazioni in cui ci si può sentire appagate, per fortuna, sono molte, non una sola.
Melanie Klein, psicoanalista austriaca-britannica, ha approfondito il tema dell’invidia soprattutto nella sua opera “Invidia e gratitudine” (1957).
Secondo Klein, l’invidia è un sentimento primordiale che distingue tra due tipi:
Invidia “buona” (o invidia costruttiva): è quella che, se riconosciuta e regolata, può trasformarsi in ammirazione e ispirazione. Il soggetto, invece di voler distruggere ciò che invidia, cerca di raggiungerlo, migliorarsi e prendere esempio dall’altro. Questo tipo di invidia stimola il desiderio di crescita personale e professionale.
Invidia "cattiva" (o invidia distruttiva): è caratterizzata dal desiderio inconscio di distruggere ciò che l’altro possiede e che il soggetto sente di non avere. Non porta a un miglioramento personale, ma piuttosto alla svalutazione dell’altro o al sabotaggio. Può derivare da una mancata elaborazione della gratitudine, che permette di riconoscere il valore di ciò che si riceve.
Klein sottolinea che la gratitudine è l’antidoto all’invidia distruttiva: chi è capace di provare gratitudine riesce a vedere il bene negli altri senza sentire il bisogno di distruggerlo. L’incapacità di provare gratitudine, invece, può portare a un’escalation di odio e rivalità.
Invidia vs sorellanza
Confessiamolo, noi donne sappiamo bene di cosa sta parlando Melanie Klein. Ho sempre pensato che l’invidia fosse un sentimento più femminile che maschile. Vi dirò di più, l’ho sempre anche vista un’ostacolo alla coesione tra noi donne.
In un mondo femminile così variopinto, colmo e ricco, l’invidia dovrebbe semplicemente servirci a porci nuove mete e percorrere nuovi viaggi. Se superassimo questa difficoltà, noi donne probabilmente riusciremmo ad arrivare molto più lontano di quanto siamo ora: coese si fa più strada nella società.
A quella mamma che ha scatenato in me invidia, direi grazie. Mi ha aiutata a sapere qualcosa di me che ancora non avevo compreso così a fondo. Le emozioni arrivano potenti alla pancia, ma per essere bene interpretate hanno bisogno di tempo, razionalità, consapevolezza.
Guardiamoci con curiosità e accogliamo ciò che ammiriamo di più nell’altra, per trovare la nostra strada e crescere!
Tutte uniche
Vorresti che tua figlia mostrasse la propria unicità senza alcun timore?
Desideri si affacci al mondo sicura, certa di essere importante proprio perché diversa da tutti gli altri?
Lavora sulla sua autostima.
Parla di invidia a casa. Accogli quest’emozione scomoda, usala in modo che possa diventare il mattone che crea il legame invece di quello che distrugge.
L’invidia ci sprona: facciamone castelli, costruiamone città, visitiamola insieme.
Iniziamo noi, e le nostre bambine lo faranno da sole.
Grazie!
Oggi ringrazio.
Perché se il percorso della mia vita è cambiato e si è arricchito, lo devo anche alle donne deliziose che ho incontrato in età adulta nella mia vita.
Donne coraggiose, donne schiette, donne vitali, donne energiche, caparbie. Nutro in voi, amiche dell’età adulta, una profonda ammirazione. Incontrarvi mi ha resa migliore e più possibilista nella visione di un mondo in cui le donne varcano soglie sempre più alte.
In cima c’è spazio per tutte, ma per arrivare su serve una cordata, necessitiamo l’una dell’altra.
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